Ricordare i Pogues

Foto di Eric Nopanen su Unsplash


Leggere la notizia della morte di Shane MacGowan è stato come salire su una piccola locomotiva, pronta a scivolare con lenta malinconia sul binario dei ricordi. Questo viaggio mi ha portato al 2006, ai miei sedici anni. L’adolescenza in provincia mi faceva sentire incompreso e arrabbiato. Cercavo nel punk-rock uno specchio in cui riconoscermi, in grado di regalarmi un’immagine diversa e finalmente mia rispetto a quella che vedevo riflessa guardandomi attorno e che non mi piaceva per niente. Tutto ciò che non avevo era l’unica cosa che ero ero sicuro di volere e lo capii ancora di più quando lessi Jack Frusciante è uscito dal gruppo, con cui Enrico Brizzi mi educò sulla scrittura, sull’adolescenza, su Bologna e sulla musica. E sui Pogues.

Lessi e rilessi quel romanzo-rivelatore sottolineando e segnando tutte le canzoni che citava, con la seria diligenza di chi è sicuro di avere per le mani la mappa del tesoro. A quei tempi, YouTube e Wikipedia erano agli albori, ma io li usai come strumenti sconosciuti che in un modo o nell’altro avrei fatto funzionare, procurandomi altri nomi, gruppi e brani da aggiungere a quelli suggeriti da Brizzi. Ne venne fuori un CD su cui scrissi con l’indelebile blu una sola parola: PUNK. Fu come se l’avessi segnata a terra con un bastone o incisa su un architrave, a voler dire: D’ora in poi io abito qui.

Nel 2006 consumai quella raccolta messa insieme con cura e continuai a farlo anche negli anni successivi, anche quando mi dicevo che i miei gusti fossero cambiati, che non fossi più un adolescente arrabbiato e che non per forza dovessi rifugiarmi lì. Nonostante ciò, quel CD passò dal lettore mp3 allo stereo della macchina, rimanendo a portata di mano durante i viaggi, i ritorni da lavoro, le giornate eccitanti, le serate deludenti. Non avevo più sedici anni, ne avevo venti, venticinque, trenta… eppure lì dentro trovavo puntualmente quello di cui avevo bisogno, compresi i Pogues e con loro i ricordi di quando era il 2006 e leggevo Jack Frusciante, immaginando quando avrei potuto ricopiare anch’io da qualche parte il testo di The Sunnyside of the Street, o quando avrei incontrato una ragazza che cantasse Love You ‘Till the End (alla fine l’ho trovata, ma solo perché l’ho scritta nel mio romanzo).

Ora Shane MacGowan non c’è più e forse la sua morte dà una spintarella alla barca su cui mi sento in viaggio, allontanandomi un po’ di più dalla giovinezza. Era successo già con la morte di Dolores O’Riordan, che in quel mio CD non c’era ma nella mia adolescenza risuonava lo stesso, agitando le corde meno ruvide, anche lei dall’Irlanda. Nonostante la distanza, tuttavia, la musica in sottofondo mi permette di riconoscere da dove sono partito. E la musica, inutile dirlo, è sempre la stessa di quando non sapevo ancora dove sarei andato.

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