La mia ossessione per il successo

Foto di Clark Tibbs su Unsplash


Spesso si scrive inseguendo (e scoprendo) le proprie ossessioni. Seguendo le storie che mi sono venute incontro negli ultimi anni, ho capito che tra le mie c’è quella per il successo. Mi sono chiesto più volte il motivo di questa mia attrazione per l’argomento e non sono mai riuscito a darmi una risposta precisa, perciò con questo post proverò a rifletterci un po’ su.

In una puntata della newsletter, ho raccontato il contesto emotivo in cui ho iniziato a lavorare a La chimica dell’attimo. Per non ripetermi, qui dirò brevemente che avevo venticinque anni, ero disorientato e precocemente disilluso. Sentivo che non ero riuscito a ottenere ciò che volevo, specialmente con la scrittura. Confrontandomi con lo scarto che vedevo tra le mie aspettative e i miei risultati, cominciai a pensare a cosa sarebbe accaduto se avessi avuto finalmente l’occasione di dimostrare quello che credevo di valere. Spingendomi più in là, ho fantasticato sul raggiungimento del successo, su cosa significasse per me, su ciò che serviva per ottenerlo e su quello che sarei stato disposto a fare per non lasciarmelo sfuggire. La storia di Diego e di La chimica dell’attimo è iniziata così.

Scrivere una storia per cercare delle risposte è abbastanza comune. Costruendo la trama del romanzo, però, ho trovato perlopiù domande. Una dopo l’altra, come per alzare di volta in volta la posta in gioco. Come ti comporteresti se uno come Vincenzo Vida chiamasse proprio te? Cosa sceglieresti tra il tuo lavoro e il tuo sogno? A quante persone rinunceresti per non avere intralci tra te e l’occasione della tua vita?

Ho scritto La chimica dell’attimo per cercare di rispondere, raccontando di Diego, di Vida, del prezzo del successo. Eppure, una volta finito il romanzo, ho sentito che le domande non se ne erano andate, infatti hanno continuato a rimbombare dentro di me.

Sono cresciuto nell’epoca del trionfo della televisione commerciale, dei reality show e dei talent show. Ora vivo in quello dei social media e della viralità, del successo che brucia come una pira altissima e che poi si spegne nella dimenticanza. Mi sono detto che il motivo della mia ossessione forse potrebbe trovarsi lì, in quello a cui sono stato esposto, nella cultura della società in cui vivo. Oltre a questo, tuttavia, deve esserci qualcosa di un po’ più profondo, che però non riesco ancora ad afferrare. L’unica cosa che posso fare è continuare a inseguire le domande, affidandomi alla scrittura.

Per questo, dopo aver scritto La chimica dell’attimo, ho cominciato a pensare a un’altra storia. Dopo aver raccontato la strada che si percorre per inseguire il successo, ne ho immaginata un’altra meno luminosa. Né in salita, né in discesa, è una strada che sembra non portare da nessuna parte, perché è quella delle occasioni mancate, del successo che c’è stato e che se n’è andato, scivolato chissà dove. Nella mia mente, è un sentiero che procede tra rami secchi ed edifici scoloriti, una passeggiata che preferiresti risparmiarti, un paesaggio da cui vorresti distogliere lo sguardo, perché hai paura di trovarci una parte di te.

Su questa strada ho incontrato Valerio e ho capito che avrei scritto di lui, scrivendo anche di me. L’avrei costretto, e di conseguenza avrei costretto anche me stesso, a camminare con l’amarezza dei rimpianti sulle spalle. Andando avanti, però, saremmo inciampati in un’inaspettata seconda possibilità, come una bussola trovata a terra, ammaccata ma ancora funzionante.

Raccontando della sua seconda possibilità, così, mi sono concesso la mia. Lavorare a questo romanzo è stata l’occasione per continuare a riflettere sul successo, per tenermi vicino a questa ossessione che mi permette di immaginare storie. Sono rimasto dentro la storia di Valerio e degli altri personaggi che lo accompagnano per tanto troppo tempo. Anche in questo misto di insistenza e procrastinazione c’è stato un che di ossessivo, ma negli ultimi mesi ho lavorato tanto a questo romanzo per poterlo finalmente lasciarlo andare.

Terminata la scrittura, credevo che le risposte che mi ero dato avessero messo a tacere le domande, ma a quanto pare le ossessioni non funzionano così. La mia mi ha indicato un’altra strada, per un altro romanzo, con cui mi sono detto che proverò a terminare questa mia ricerca, in una specie di trilogia ideale sull’argomento. Nel frattempo, terrò le orecchie aperte alla ricerca di altre domande, sperando di essere abbastanza fortunato da ascoltarne di nuove.

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